Tra le persone fantastiche che ho conosciuto c'è Gàbor, il mio "angelo custode" ossia il volontario AFS che si occupa di me.
Ci siamo incontrati a Dunaharaszti, il luogo in cui ho fatto il campo di benvenuto.
Siamo arrivati verso le 19, mentre gli altri cenavano. Prima di tutto dovevamo passare per degli stand per consegnare documenti, ritirare libri, t-shirt, acqua, cibo e ricevere il numero del bungalow. Ero stanchissima, dopo aver preso due aerei, la corsa per non perdere il secondo allo scalo, il sandwich orribile che ci avevano servito, l'acqua sporca chiamata caffè. I volontari che mi parlano in inglese e io che li guardo ma non capisco sul serio.
E poi spunta lui, il mio "grosso grasso" angelo custode! Un sorriso smagliante, un abbraccio di benvenuto, mi aiuta a passare per tutti gli stand, mi accompagna al bungalow, che è in fondo, mi porta la valigia e anche un sacco di altre cose. Arrivati al bungalow, una casetta di legno con veranda e balcone, decido di prendere un letto al primo piano. Le scale sono ripidissime e Gàbor mi sale la valigia grande. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a non rotolare giù dato che io ho avuto i miei problemi a scenderla il giorno dopo.
Parlando con le altre ragazze mi accorgo di essere stata fortunata perchè ho incontrato subito il mio volontario che mi ha aiutato, mentre altre ragazze avevano dovuto fare tutto da sole, anche se capivano meno di me.
Fin qui può sembrare un tesoro,ma quando ho scoperto che non è stato un caso che l'abbia incontrato, ma che abbia lasciato la cena, quando non aveva fatto che colazione quel giorno, solo per incontrarmi.
Che dalla prima volta che ha letto il mio dossier, a cui avevo lavorato con tanto impegno, ha fatto tutto il possibile per avermi nella sua città, per essere il mio volontario.
Quando mi ha raccontato questo mi sono sentita la ragazza più fortunata del mondo.
Ho un volontario che mi capisce, che sa sempre quando lasciarmi libera e quando invece farsi sentire.
All'inizio non parlavamo che su Facebook, mi chiedeva come andasse la vita e io rispondevo con il solito "fantastico".
Poi un giorno è stato fin troppo fantastico.
La prima volta che mi sono sentita male è stato al termine del Garabonciàs, una gara tra scuole che dura una settimana. In quei giorni ero uscita sempre con mio fratello, fatto amicizia con molti ragazzi, mi ero sentita benissimo, parte del gruppo, sentirsi salutata con "ci vediamo domani sera", indossare la maglia della scuola. gridare "Csak a BEG" (solo la BEG). Mi sentivo bene.
Poi l'ultimo giorno torno a casa e scoppio a piangere, mi sento malissimo, non mi chiedo il perchè, piango e basta, tantissimo, entra mio fratello ma non sa cosa fare, è troppo presto, non ci conosciamo neanche da un mese, mi dice che piangere è inutile, ma io non so perchè piango. Entra mia mamma. Tutti sanno che sto piangendo, nessuno sa cosa fare.
Il giorno dopo tutto è passato, mi sento bene, o almeno credo.
A Gàbor non ci penso neanche un minuto, "posso farcela da sola" mi dico, anche perchè non saprei spiegargli cosa mi è preso.
I giorni passano e si torna a scuola. E' martedì, sport. Tutti al parco a correre, pioviggina e correre per mezz'ora senza sosta non mi ispira molto. Mentre attraversiamo la città sono da sola, ognuno a chiacchierare e io o troppo avanti o troppo dietro. La prof suona il fischietto e si parte, comincio a correre e anche a piangere.
Non dovrei, eppure continuo a farlo, la prof mi chiede quale sia il problema, ma fatico a trovarlo, non posso essere davvero scoppiata a piangere perchè in 5 minuti di camminata nessuno ha parlato con me, è troppo stupido.
Mi tiro su. Ho bisogno di un consiglio, chiamo Gàbor. Ci vediamo il giorno dopo.
Gli dico come va, anche se lui sa già tutto, la scuola l'ha chiamato.
Gli dico di non sapere il perchè, che anche se a volte mi capita di piangere in Italia quello che sta succedendo è nuovo per me. Poi lui comincia a parlare e mi dice esattamente come sto. Mi spiega tutto, e all'improvviso ha davvero senso. Credo che solo allora, mentre mangio la cioccolata belga che Gàbor aveva portato apposta per me, ho capito di essere così fortunata.
Posso pensare di essere sola, ma ho sempre qualcuno a cui telefonare, anche alle 3 di notte, sono sicura che saprà cosa dirmi, perchè lui ha vissuto le stesse cose che vivo io. Avrà inveito contro una lingua incomprensibile e contro tutte quelle persone che un giorno ti parlano e l'altro non si ricordano di te.
Avrà avuto la sua prima frase in lingua, i tanti piccoli traguardi e le tante piccole delusioni.
Ma se grazie a tutto questo è diventato quello che è ora, allora sono pronta a viverlo anche io!
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